Sala Consilina, ecco la splendida Via dei Giardini degli Enotri: Video e Testi

Grazie al “poeta” degli Orti di Sala Mimmo Calicchio vi proponiamo in anteprima un video e due testi dedicati alla splendida Via dei Giardini degli Enotri. Ma anche le Sorgenti Perenni degli Orti, il Paesaggio dei Grani e il Paesaggio degli Ulivi. Oltre, ovviamente, al Paesaggio degli Orti. Tutto questo e molto altro compone la Via dei Giardini degli Enotri di Sala Consilina.

I LUOGHI DELL’INCANTO (di Mimmo Calicchio)

La via degli orti è la via cittadina dei posti importanti, qui si trova lo spazio della memoria, qui il tempo antico si racconta e passa per i luoghi dovei padri insegnavano ai figli.

Proverbi perpetui insegnano la fatica, quella che piega la schiena, scarnifica la faccia e tempra il carattere, la stessa che ha fatto le case e dato ordine e misura in paese alle cose che contano.

Essa è la via di chi a spalla portava a casa lu varlili (barile) pieno di acqua dalle Taverne o da San Giovanni,(luoghi di campagna) dopo una giornata passata a scavare li fu6ssi,(canali di drenaggio dei terreni) a primavera.

Là camminava la donna gravida con la canestra in bilico sulla testa e il figlioletto per mano, quando portava al Pantano la pasta fatta in casa agli uomini che vangavano la terra gelata nel mese di gennaio.

Vi passava la fatica che toglieva il fiato a chi scippa e cchjanda (spianta e ripianta) in tutte le stagioni nella «fabbrica» dell’orto.

Si affumicava quando di là passava il raccoglitore di olive che nella scarrònia (recipiente di latta in disuso) portava con sé un po’ di fuoco al campo, per riscaldare di tanto in tanto le dita gelate che cercavano sotto la ne­ve di dicembre l’àcinu (acino di oliva) sfuggito a li mmògli.(vecchi lenzuola o coperte su cui si facevano cadere le olive)

Vi gocciolava il sudore che inumidiva la pelle abbrustolita dei mietitori di grano e di orzo a giugno e di quanti ndurchjàvanu (ammatassare) l’erba medica essiccata al sole.

Vi passava la rabbia e la rassegnazione delle donne senza terra da coltivare, quando accom­pagnavano col carretto i figli e i mariti alla stazione ferroviaria, che partivano in cerca di fortuna.

Era la via dell’ortolano, maestro coltivatore per tradizione e passione, che praticava un’arte tra le più antiche e importanti del mondo, ch’è la produzione del cibo.

 

I COLORI DEL CREATO (Di Mimmo Calicchio)

La via degli orti è la via nei luoghi «colorati», qui essi incantano e raccontano la favola antica del cibo che colora e profuma la terra.

In estate i colori delle verdure disegnano gli spazi con perfezione geometrica, come comanda la tradizione.

Di primo mattino il giallo dei fiori di zucca si completa coi fiori bianchi dei fagiolini, e al verde degli steli delle cipolle si accompagna quello tenero delle foglie dell’insalata e dell’aglio.

I fiori bianchi delle patate ondeggiano in un mare di verde e quella tavolozza cattura l’animo. Tra i solchi di carote dalle foglie color vinaccia, belli si alzano i sedani, il verde delle piante di peperoni e melanzane mostra i frutti verdi, rossi e viola.

Cocomeri e meloni nascondono la terra, e i pomodori carichi di frutti raccontano, fissati alle canne, l’abbondanza d’ ogni grazia di Dio.

Sui pennacchi del granturco s’arrampicano i fagioli cannellini in cerca di aria, e la meraviglia si completa coi fiori seminati ai margini degli orti per rendere, in occasione di feste e novene, l’omaggio ai Santi e per onorare il riposo eterno dei trapassati.

File di basilico profumano l’aria e li ppèrsicha, (pesche locali) piegano i rami fino a toccare la terra scura. In agosto la terra si riempie di rape e tutte le sfumature del verde dominano gli spazi e tra essi si esalta il chiaro dei finocchi e quello della scarola.

Tra le file di fave e cavoli cappucci tenera cresce la lattuga, e in mezzo alle impalcature di pali e canne compaiono i primi piselli per la gioia dei passeri.

Ogni verdura racconta la propria stagionalità: ha avuto un suo tempo per essere seminata, uno per crescere, un altro per essere raccolta.

Coi suoi fiori insegna le stagioni dell’anno, che i nostri padri riconoscevano, perché essi computavano il tempo grazie alla coltivazione del cibo.

Se verdure, legumi e cereali non erano pronti, per loro ciò significava che le stagioni tardava­no a venire oppure a passare; per loro gli orti erano le pagine di un calendario a cielo aperto.

La sapienza antica, tramandata per tradizione orale, consentiva al coltivatore di produrre cibo in abbondanza, in un piccolo spazio di terra e ogni momento dell’anno, senza impoverire la fabbrica.

Ogni orto avia la manu sua (rappresentava l’ortolano), e l’orto bello faceva l’ortolano maestro per meriti guadagnati sul campo.

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