Indagine lenta, giurisdizione equivoca e denunce inascoltate. Ecco come è arrivata la prescrizione per il caso delle poste di Polla

Ha ovviamente destato scalpore la sentenza di prescrizione per il caso dell’impiegata dell’Ufficio Postale di Polla accusata di aver sottratto oltre un milione e mezzo di euro dai conti di numerosi clienti (anche se il processo penale riguardava la somma di circa 500mila euro). Una prescrizione che arriva da numerosi fattori ma che non deve far pensare – alle vittime – che i soldi non si possano recuperare. A rassicurare loro arrivano le dichiarazioni dei vari legali  coinvolti. Gli avvocati Domenico Amodeo, Loreta Panza e Massimiliano Trezza infatti hanno voluto ricordare che “La prescrizione – ricordano – non è sinonimo di assoluzione, bensì nel caso in specie l’imputata non è stata assolta in primo grado, ma il fatto da lei commesso (come ammesso in una sua denuncia – ndr)  è stato dichiarato prescritto. Ciò comporta – aggiungono gli avvocati – che è eseguibile l’azione civile di risarcimento del denaro nei confronti dell’imputata sia nei confronti delle stesse Poste”.

Ma come si è arrivati alla prescrizione di un caso che nato tra il 2007 e 2008 ha creato un’attenzione mediatica e non solo di notevole interesse? Questo dipende da numerosi fattori. Innanzitutto, occorre dirlo, dalle lungaggini dell’allora Procura di Sala Consilina. Ben tre anni per poter arrivare a tirare le fila dell’inchiesta, un tempo molto ampio nonostante ci fossero numerosi documenti, teste e materiale a disposizione. E proprio per questa serie di lungaggini tra le altre cose ha di fatto “evitato” che nel processo potesse essere inserita la perizia calligrafica sulle varie firme su documenti importanti in quanto presentata dalla stessa Procura fuori dai tempi necessari. E poi bisogna anche dire che la denuncia sopra citata della dipendente non ha avuto grandissimi esiti giudiziari. Nella denuncia, infatti, la donna ha affermato ai carabinieri della stazione di Polla, di aver subito delle pressioni da una terza persona per ciò che aveva fatto. Questo è confermato anche dalla richiesta dell’avvocato dell’ex imputata, Franco di Paola. L’avvocato, infatti, durante il dibattito ha avanzato la richiesta di “causa di giustificazione” per quanto fatto dalla donna e quindi l’assoluzione. La causa di giustificazione identifica particolari situazioni il cui verificarsi rende lecito un fatto che integra una fattispecie di reato. Denuncia che aveva portato a una serie di indagini e sequestri ma senza mai avere conseguenze reali su eventuali terze persone coinvolte.

A far arrivare la prescrizione – sentenza sulla quale comunque si attendono le motivazioni – anche un altro aspetto frutto di una giurisdizione non univoca: l’accusa di peculato modificata – dal pm e su richiesta del legale – in appropriazione indebita nei confronti dell’impiegata. Il primo compiuto da chi fa funzioni per lo stato e il secondo per chi fa funzioni private. Le operazioni del processo effettuate per conto di Poste Italiane, sono avvenute per operazioni bancarie. Quindi è scattata l’appropriazione indebita. Esistono diverse sentenze in Cassazione che variano da una sezione all’altra. E questo non ha certo “aiutato” verso una decisione.

E quindi c’è proprio la situazione delle Poste italiane. Avrebbe potuto effettuare un controllo maggiore? Esiste un dossier interno di circa 30 pagine sull’indagine interna con tutti i vari movimenti. Indagine che porta alla luce numerose situazioni quanto meno nebulose sull’opera della dipendente (occorre dire che sono stati coinvolti, a loro insaputa, anche altri dipendenti dell’ufficio).  Resta quindi la domanda: l’azienda poteva effettuare un controllo maggiore? A questa domanda ci sarà risposta nei processi civili. Infatti per chi ha subito la vicenda c’è questa strada da percorrere, rivalendosi, laddove arrivi la sentenza a loro favore, su Poste Italiane. Un percorso avviato da altre vittime già da tempo.

 

 

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