“Utilizzare la biomassa per riscaldare scuole ed edifici pubblici”: la proposta del Codacons Vallo di Diano

Riceviamo e Pubblichiamo il comunicato stampa a firma del responsabile della sede Codacons Vallo di Diano, Roberto De Luca relativo alla proposta per l’utilizzo della biomassa per il riscaldamento delle scuole e degli enti pubblici. 

“Partiamo da una considerazione: fino a qualche anno fa si usava la legna per riscaldare le case. Oggi, invece, si usano – in genere – carburanti fossili per alimentare le caldaie degli edifici pubblici (case comunali, scuole, ospedali, uffici, etc.). La combustione in loco di petrolio e suoi derivati presuppone l’estrazione e il trasporto del greggio, il trattamento dello stesso e un secondo trasporto del prodotto raffinato ai distributori.

 foto 1 codacons

Biomassa che cresce naturalmente nel canale parallelo al
fiume Tanagro in località S. Agata a Sala Consilina (SA).

Se raccolta, questa biomassa potrebbe essere utilizzata per il

riscaldamento degli edifici pubblici e non ostruirebbe, d’inverno,

il fluire delle acque piovane.

 

Questi ultimi, infine, forniscono l’Ente pubblico del necessario per riscaldare gli ambienti (vedi figura 1). Per i gas naturali, saltando il passaggio del trattamento, il viaggio fino alla meta ultima è pressoché identico. Per far diminuire il fabbisogno di carburante si potrebbe (e forse si dovrebbe) fare in modo che gli edifici siano meglio isolati dagli agenti atmosferici (sia dal caldo eccessivo sia dal freddo, quindi).

foto 2 codacons

Percorso del petrolio per arrivare ad essere utilizzato come

carburante per il riscaldamento degli ambienti. L’utilizzo di

questo combustibile non solo introduce un inquinamento

“non autoctono”, ma incoraggia la trivellazione di zone al

momento lontane.

Supponiamo adesso che gli edifici pubblici del Vallo di Diano (ragionando a livello comprensoriale) abbiano a disposizione una piccola caldaia per bruciare biomassa. Per biomassa qui intendiamo solo l’insieme degli scarti agricoli e forestali, o qualche specifica coltivazione arborea effettuata in terreni non utilizzabili per l’agricoltura. I nostri paesi sono ricchi di questa materia prima, reperibile sugli argini delle strade, sulle sponde dei fiumi, nei campi in pianura o sui monti circostanti. Non tanto ricchi, tuttavia, per alimentare super-centrali, come quella che qualche Solone locale (forse spalleggiato da qualche allegra combriccola) avrebbe voluto costruire nel mezzo della vallata. Per effettuare una stima del numero di caldaie che possiamo alimentare, si dovrebbero censire boschi, macchie e terreni nel Vallo per conoscere il quantitativo di biomassa che è possibile ottenere in un anno. Bruciando biomassa locale, gli scarti della combustione ritorneranno all’ambiente e verranno assorbiti di nuovo dalle piante, non producendo così alcun saldo attivo di sostanze di scarto immesse nell’ambiente, come mostrato nella figura 2.

foto 3 codacons

Filiera cortissima per il riscaldamento degli ambienti. L’utilizzo

di biomassa non introduce alcun saldo netto di inquinamento,

potrebbe risolvere alcuni problemi occupazionali, creare

ricchezza locale e, infine, prevenire la combustione di boschi

e macchie durante i mesi estivi.

 

Ci domandiamo, allora, se sia solo questo il beneficio. La risposta è no. Un beneficio importante è quello che, se facciamo a meno di bruciare petrolio o gas naturali, ci arricchiamo noi, invece di far arricchire le solite compagnie petrolifere. In che modo? Immaginiamo che l’Ente pubblico sia disposto a pagare una frazione del controvalore di circa 1,70 EUR per 3,0 Kg di biomassa[1] preparata in modo da essere bruciata nelle caldaie che si hanno nelle cantine.

Perché una data frazione di 1,70 EUR e perché proprio 3,0 Kg? Perché la prima è una frazione della somma che si spenderebbe per un litro di gasolio (prezzo stimato in un prossimo futuro) e la seconda è la quantità di legname (stimata in eccesso) che si dovrebbe bruciare per ottenere la stessa energia che otteniamo dalla combustione del litro di gasolio stesso. La stima della frazione adeguata da corrispondere alla filiera locale andrebbe fatta con uno studio di fattibilità redatto da esperti.

A chi vanno alla fine questi soldi? L’organizzazione della raccolta della biomassa non è cosa semplice (come potrebbe sembrare a primo acchito) e non poco faticosa; un semplice impianto di trattamento per la triturazione e la pressatura del prodotto, poi, non si gestisce in modo gratuito. Pertanto, quei denari andrebbero a tutta la filiera della raccolta della materia grezza e della preparazione del prodotto finale in tronchetti (ad esempio). La filiera (cortissima) di produzione dovrebbe quindi fornire pezzi di dimensione predefinite per alimentare le caldaie degli enti pubblici. In questo modo quei soldini che andavano a impinguare le casse delle multinazionali del petrolio, che portano inquinamento “non autoctono” da lontani pozzi petroliferi, potrebbero restare in loco. E non solo. In questo modo si combatterà la disoccupazione, avendo creato posti di lavoro tesi ad allontanare, in modo intelligente, il rischio dell’avvento delle trivelle in queste terre. La bellezza dei luoghi risplenderebbe per mezzo dell’intervento continuo dell’uomo e il biglietto di presentazione della vallata alle “oil companies” sarebbe un bel paesaggio e monti e fiumi, e corsi d’acqua e campagne ben tenuti. E sarebbero anche le nostre scuole “oil free”.

[1] Il prezzo di mercato della legna da ardere, per quello che può essere dedotto dalle offerte presenti su rete, è di circa 15 EUR al quintale”.

 

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