“Elezioni senza nome” di Rino Mele.
Dalla prima pagina del “Roma” edizione salernitana di domenica 24 febbraio 2013 .
Eleggere non significa dare una complice spinta a un ambizioso aspirante alle cariche pubbliche ma, dopo averne misurato le capacità, indicare tra diversi candidati il migliore. In latino si diceva “eligere” che significa non solo scegliere, bensì svellere, strappare: “eligere steriles herbas” strappare le erbe cattive liberando le erbe buone, utili alla sopravvivenza del contadino. È questa un’operazione che richiede grande attenzione, fatica, discernimento, acume, capacità di critica e di giudizio. Oggi votano più di 45 milioni di cittadini ma nessuno di essi potrà scegliere il proprio candidato, salvare l’erba buona dalla cattiva perché questo diritto – un turpe e vergognoso sopruso- se lo sono attribuiti solo per sé i nostri attuali rappresentanti, molti di essi in agonia (già eletti il 13 e 14 aprile 2008 con questo stesso sistema). Elezione significa scelta, ma oggi noi confermiamo soltanto scelte già fatte. Non scegliamo, non eleggiamo se non chi già è stato eletto dai capipartito. La cosa fa un po’ schifo: come avere le mani molto sporche e dover tagliare del pane fresco. Nel Commento ad Aristotele (Etica nicomachea), San Tommaso ne dà una precisa definizione, che per noi ha anche un alto valore politico: “Elezione è il nome dell’atto della volontà quando è volto al bene, che ha come fine il bene” (relatum in bonum). E, invece, quello che facciamo oggi somiglia a un gioco, a un distratto giro di un’ammiccante briscola. Comunque sia, oggi 24 febbraio diventiamo tutti magistrati: dovremmo dare un giudizio, scegliere. Una giornata per esprimere la più difficile responsabilità. Se malauguratamente collaboreremo a designare persone indegne il male che ne deriva si spanderà su tutti. Sartori chiamò graziosamente, con dolorosa ironia, “porcellum” l’orrenda legge che ci riduce, oggi, a burattini mossi dai fili di tristi e miopi burattinai. Paghiamo le tasse, cerchiamo di fare il nostro dovere: meritavamo almeno di poter decentemente votare. Invece siamo come gli asini bendati che tiravano immani ruote di pietra, le macine dei vecchi mulini.