“Perché donare gli organi, vi racconto di mio fratello Giosi”

Pochi giorni fa si è tenuto a Polla un convegno sulla donazione degli organi. Diverse associazioni si sono confrontate, insieme al vescovo Antonio de Luca, sulla donazione degli organi e sull’esempio di due pollesi Giuseppe Sacco e Giosi Caggiano. Giuseppe Sacco è morto poco più di un mese fa. Giosi, invece, quasi 15 anni in un incidente stradale lungo la Polla-Sant’Arsenio. Per ricordare chi era e per spiegare perché donare gli organi la sorella di Giosi, Antonella professoressa e scrittrice ha raccontato chi era e è Giosi e perché di quel gesto. Ecco la lettera:

“Quando mi si chiede di Giosi, mio fratello, la prova di resistenza per me diventa ardua e poi, senza rimedio, la ferita riprende a sanguinare. Così accade anche ogni volta che qualche giovane si ritrova nelle braccia del Signore, per un evento precipitoso e drammatico. Come è accaduto a Giuseppe. Lui avrebbe compiuto cinquant’anni il 17 novembre. Mio fratello avrebbe spento quaranta candeline a giugno, il 21.

Quante coincidenze li accomuna: il nome, dieci anni di differenza ed ora il ricordo di loro che vive fisicamente in tante persone.

Giosi… è con lui che mi sveglio al mattino e mi riaddormento, talvolta  sognandolo. Dal 26 febbraio 1999 ad oggi sono trascorsi molti anni senza potergli stringere il viso, senza poter alzare la cornetta per urlargli: “Auguri  ‘o  fra” eppure lui è stato più presente di tanti altri,  è stato sempre con me: in ogni decisione importante lui mi ha indicato la strada da scegliere,  così come  ogni attesa mi è stata rivelata, prima del tempo,  da lui stesso.  Non è la morte fisica che potrà mai spezzare un legame profondo e di amore prepotente come era il nostro.

Giosi  non si può dire: lo si può vivere; non lo si può descrivere: bisogna cercarlo nelle emozioni che provi solo ascoltando la tua musica preferita, quella che ti entra dentro e ti trasforma; oppure attraverso il primo vagito di tuo figlio, quando assapori nuovamente la vita. Lui è libertà: mi sono convinta solo col tempo che non poteva restare con noi. La libertà la intuivi e la respiravi standogli accanto, sentendolo parlare, fare, camminare. Tutto in lui odorava di libertà. Lui è allegria: ti risucchiava la sua risata frizzante che, a poco a poco, ti sentivi scendere nell’anima. L’allegria la vedevi, concreta, in ogni azione della sua vita, breve, ma vissuta con un’intensità e accumulando così tante esperienze che neppure una persona a tarda età sarebbe mai riuscito a vivere.

E poi quella maledetta notte….. non potrò dimenticarla. Non si può cancellare quell’attimo in cui i dottori ci hanno detto :” È  finita” e, giusto un attimo dopo, quando ancora non eravamo riusciti a realizzare, a capire il significato di quelle parole, perché respinte, allontanate da noi,  dai suoi abbracci, dalla nostra famiglia… sempre i dottori ci hanno chiesto: “Volete fare la donazione degli organi?”: Le reazioni sono state due: innanzitutto ho pensato: “Allora è vero? È vero che è finita”…. Tutti gli anni trascorsi assieme, il nostro primo salvadanaio di legno fatto da papà, lui a Napoli, la musica che preferiva, le nostre litigate,  il nostro ballo alle mie nozze, le passeggiate con Shiva……. Niente. Più niente.  E poi, incattivita col mondo e con Dio, mi sono detta: “Ma perché devo pensare al bene degli altri in questo momento in cui il mio bene non c’è e non ci sarà mai più…..”. Donare significa non credere nella possibilità del miracolo. Donare, dire sì, è non sperare più.  È innaturale dire sì in questi momenti, quando a te la vita è stata negata. Non biasimo chi non riesce a dire sì.

Allora mi sono sentita precipitare in un vortice tumultuoso e ho rivolto la mente  al Signore che era stato sordo alle nostre preghiere e alle lacrime dei miei genitori. Lui ci aveva visti chini nell’abisso del Dolore come mai avevamo conosciuto, eppure, non ha avuto pietà di noi. Non ha guardato i nostri volti pietrificati, il vuoto che ormai eravamo diventati.

Ma in quella disperazione, in mezzo al fango dove eravamo immersi, all’improvviso è emersa una luce immensa: Giosi.  Non era lui che si toglieva i maglioni  appena comprati se solo piacevano all’amico di turno e glieli donava? Non era lui che ti regalava quello che aveva, se solo sapeva che ne avevi bisogno?

Non noi abbiamo donato i suoi organi, ma il suo amore immenso per la vita.

Solo un grande Amore può partorire la Vita. Così, schiacciati dalla nostra indicibile sofferenza abbiamo detto sì: è stato un sì che avrebbe detto lui stesso e che quella terribile notte ci ha sussurrato all’orecchio. Un sì alla vita degli altri, un sì malgrado tutto.

“Anima sei, anima credi” è la massima cara a mio padre e che mi  è rimasta incollata in testa.  La nostra società più che mai ha bisogno di “anima” e di credere che ognuno di noi è “anima”. Siamo legati da un comune destino di esseri umani. Non siamo isole scollegate fra noi, in cui ognuno di noi è attento al proprio piccolo recinto, alla propria dimensione familiare e che importa se a un centimetro dal nostro naso fratelli, come noi, muoiono per un sì o per un no….Nonostante l’età, rimango ancora colpita dalla totale indifferenza di molti alla sofferenza altrui.

Non siamo isole: tutti apparteniamo ad un unico continente.

Il dono arriva da lì: dalla possibilità di dare la vita al fratello, quando la tua,sai, ormai non c’è più. Il dono si fa, non si dice. L’amore non si dice, si dimostra”.

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