“Lontrano” dagli occhi “Lontrano” dal cuore. Dal dramma dell’infanticidio ai dubbi sul luogo di accoglienza

Il presunto infanticidio avvenuto ad Auletta, nel centro Lontrano, ha fatto di nuovo puntare i fari dell’attenzione sul centro migranti nell’ex agriturismo. Presunto infanticidio – occorre specificare – perché ancora non si è noto se il neonato sia venuto alla luce vivo o morto; c’è una autopsia in merito che darà risposte. Resta poi anche l’accusa di occultamento di cadavere sul capo della 25enne di origine nigeriana denunciata per quanto avvenuto qualche sera fa. Ma al di là della cronaca, triste e tutta ancora da raccontare, questo episodio attira ancora una volta l’attenzione sul centro migranti di Lontrano. Ancora una volta perché già quando fu istituito la protesta veemente del sindaco Pietro Pessolano contro la prefettura provocò molta attenzione.

Sabato mattina in compagnia della giornalista Sara Manisera, di Auletta ma esperta di Medio Oriente e di tutela alle donne, siamo saliti sul centro di Lontrano. Per raggiungere l’ex agriturismo abbiamo impiegato circa dieci minuti in auto, tra curve e buche. Il centro – occorre ricordarlo – si trova in un ex agriturismo e il “cambio di destinazione” ha provocato una lite tra i  fratelli proprietari. Un aspetto questo importante per quello che andiamo a raccontare. Una volta arrivati sul posto, senza entrare in luoghi off limits, abbiamo incontrato ospiti e dipendenti. Rispetto a qualche tempo fa, il posto appare meno splendente. Ci sono buste dell’immondizia non raccolte. Ci dicono che il Comune lì sopra non sale, pur se vengono pagate tutte le utenze e i contributi. Gli ospiti, quelli che vediamo, hanno visi stanchi. Forse annoiati. Vivono a sei chilometri dalla prima casa abitata. A una decina dalle varie attività. Per scendere e salire a piedi impiegano oltre due ore. Di aulettesi ne incontrano pochi. A scuola non vanno, gli insegnanti di italiano – secondo quanto sostenuto da chi lavoro nel centro – salgono da loro. E anche i progetti di lavoro sono pochi. Difficile andare a lavorare facendo oltre 15 chilometri a piedi. Il progetto integrazione così pare decadere prima ancora di cominciare. Isolati senza soluzioni. Ci sembra un ghetto, anche sadico. Sadico perché il posto è magnifico. Un ex agriturismo con piscina, passeggiate in montagna e giostre per bambini. Tutto da non poter usare. Perché la lite tra i proprietari di cui sopra ha creato una divisione delle aree a disposizione dei migranti e delle aree vietate. Problema nei problemi.

E poi ci sono le voci. Occorre parlare anche di voci, perché quassù, tra le montagne tra Auletta e Pertosa, le voci diventano coltelli affilati. Voci di auto che passano e ripassano da queste parti, a sei chilometri di distanza dalla prima casa abitata. Di persone che cercano compagnia, magari a pagamento. Voci che in un posto così isolato, che pare tutto tranne che buono per l’integrazione, diventano valanghe sui migranti ma anche sugli stessi aulettesi che di certo non vogliono farsi additare per ciò che non sono. Ecco. Due ore trascorse con Sara su questo luogo danno queste sensazioni. E non sono sensazioni buone.

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