Omicidio Buonabitacolo. Investigatori capaci, degrado sociale e urbanistico ed emergenza droga. Ecco cosa emerge dalle motivazioni della sentenza

antonio pascuzzo

Leggendo le circa 70 pagine delle motivazioni sulla sentenza di primo grado di Karol Lapenta, reo confesso dell’omicidio di Alexander Pascuzzo, avvenuto il 6 aprile del 2018 a Buonabitacolo, si ritrovano diversi aspetti da approfondire e non solo in merito al mero e gravissimo fatto di cronaca che sconvolse il Vallo di Diano, ma anche sulla cornice e il corollario di quanto avvenuto.

Partiamo, però, dalla cronaca dai fatti di quel 6 aprile. Pascuzzo ha in possesso 500 grammi di marijuana, Lapenta li vuole, e si danno appuntamento, tramite Sms, per le 21.30. Pascuzzo riferisce allo zio che sarebbe uscito che avrebbe fatto ritorno poco dopo; Lapenta torna da lavoro, da una macelleria di Montesano sulla Marcellana, alle 21. L’appuntamento è alla piscina, poco distante dall’abitazione del 18enne polacco. Dal lavoro Lapenta si è portato un coltello che ha nascosto nello zaino e poi, durante l’appuntamento dietro la schiena. Lapenta infatti nella confessione ha raccontato di aver detto a Pascuzzo, ucciso a 17 anni, di non poter portare con sé la droga e quindi il “Perù”, come chiamavano Pascuzzo, ha lasciato la sostanza stupefacente a terra. Quando si solleva, Lapenta lo colpisce con un fendente al costato (risulterà fatale in quanto arriva al cuore) e poi con altre coltellate mentre tenta la fuga. “Per favore lasciami”, sono queste le ultime parole di Pascuzzo che riporta Lapenta. Poi lo colpisce ancora e una volta a terra, gli dà un calcio alla testa prima di trascinare il cadavere nel vicino canale e poi gettare la bicicletta, con la quale Perù era arrivato all’appuntamento, nella palestra abbandonata. A quel punto l’apprendista macellaio prende la droga e va nei pressi della “Cupola” a Buonabitacolo per fumarla. Lascia – dice – il coltello su un muretto (poi lo pulirà, lo metterà nello zaino e il giorno successivo lo riporterà in macelleria) e raggiunge i suoi amici (i quali racconteranno che non aveva alcun tipo di atteggiamento particolare).

Non vedendolo ritornare a casa, il 6 aprile, il padre di Pascuzzo denuncia la sua assenza e cominciano le ricerche. Il 15 aprile il cadavere viene trovato nel canale che costeggia l’ex piscina comunale. Durante la settimana di ricerca i carabinieri, soprattutto quelli della locale stazione guidati dal maresciallo Mirabello, avevano già ricostruito le ultime ore del giovane e intrecciato il collegamento con Lapenta che però aveva detto che si erano visti in un’altra parte del paese. Se l’attenzione mediatica era soprattutto verso la ricerca del giovane, quella degli inquirenti era rivolta anche sul 18enne polacco adottato all’età di 11 anni. Poche ore dopo il ritrovamento del cadavere lo fermano, e in una tragica serata nella caserma dei carabinieri di Sala Consilina, confessa. Prima, poche ore prima, assiste al ritrovamento del Perù e resta lungo la strada con i curiosi per tutto il tempo delle operazioni di ritrovamento e primi accertamenti. Solo la sera prima era andato a vedere se il corpo era ancora dove lo aveva gettato.

Questa la cronaca. Nelle motivazioni però emergono una molteplicità di aspetti. Innanzitutto l’intuito dei carabinieri. Subito dopo il ritrovamento del cadavere nei pressi della piscina, al comandante di stazione torna in mente l’Sms tra Pascuzzo e Lapenta, si parlava di un incontro nei pressi della “pocina”. Il maresciallo capisce che si intendeva piscina. Si collegano tutti i vari pezzi del puzzle in poche ore, e trascorre pochissimo tempo dal ritrovamento del corpo del 17enne alla confessione di Lapenta.

Tra le pagine delle motivazioni della sentenza a 18 anni di carcere, mentre la Procura chiedeva l’ergastolo (e ha fatto ricorso) il giudice per le udienze preliminari, Mariano Sorrentino, rileva anche il quadro sociale nel quale avviene il tutto. Due ragazzi, uno di origine polacche e adottato a 11 anni (ritenuto bordeline dalle varie perizie psichiatriche) e uno italoperuviano arrivato dal Sud America a Buonabitacolo da poco tempo, che avevano per motivi diversi rapporti con le sostanze stupefacenti. Lapenta ne era un usufruitore frequente, Pascuzzo la vendeva ed era già stato arrestato pochi mesi prima. Non erano né amici né nemici ma avevano rapporti intrecciati dalla marijuana. Lapenta non aveva debiti pregressi con il “Perù” ma quella sera pur sapendo che non aveva soldi voleva quella droga. Per questo – secondo il giudice e secondo la tesi dell’avvocato Di Iesu lo ha ucciso – e per questo non c’è stata premeditazione nonostante avesse portato il coltello dal lavoro. Un piano, se così si può definire, organizzato in circa un’ora senza timore delle conseguenze del contatto telefonico tra i due e quindi della possibilità di essere scoperti. Nelle motivazioni il gup usa, e fa quasi proprie, le parole dell’avvocato della difesa: un fatto criminale, un “fallimento della società”. Anche il luogo degradante – ma questo lo aggiungiamo noi – è stato protagonista più che cornice. Quella piscina abbandonata segno del degrado.

Una vicenda che non è terminata certo con la sentenza di primo grado in tribunale e che non deve terminare neanche nell’essere esaminata. Sono trascorsi solo due anni da quel terribile omicidio e la domanda che resta, che aleggia su Buonabitacolo e sul Vallo di Diano: cosa si è fatto per prevenire episodi del genere? Le promesse di intervenire sulla prevenzione all’uso di droga, sul parlare coi giovani, su offrire loro luoghi adatti e un futuro, sono state mantenute? O quanto meno qualcuno ha tentato di fare qualcosa?

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