Il “caso” degli Archi dei Diavoli a Salerno: le antiche superstizioni riemergono in tempo di pandemia

Gli archi dei diavoli, così è chiamato dai salernitani l’acquedotto medievale, che da secoli tramanda alcune credenze popolari.  La loro forma acuminata, secondo una leggenda, si deve all’opera di una schiera di diavoli al servizio dell’alchimista Pietro Barliario.

Da un giorno all’altro, la monumentale struttura dalla strana forma, fece la sua comparsa lasciando i cittadini attoniti ed impauriti, ma soprattutto convinti dell’intervento del maligno durante una notte buia e tempestosa. In verità, si trattava semplicemente di una costruzione, che per la prima volta utilizzava l’arco a sesto acuto noto come  ogiva, elemento caratteristico dell’architettura gotica, usato successivamente in altri acquedotti. I ponti di via Arce hanno fornito lo spunto, anche, per un altro suggestivo racconto legato alla fondazione della Scuola Medica salernitana. Si narra che durante una notte tempestosa 4 medici di provenienza diversa (un arabo, un greco, un ebreo ed un latino), abbiano trovato fortuitamente riparo sotto i ponti, divenuti luogo simbolico di uno scambio culturale delle conoscenze  mediche del tempo e prima tappa di un futuro e propizio sodalizio. Notizie storiche fondate, fanno risalire la costruzione della struttura ingegneristica al IX secolo, prima dell’anno Mille, per approvvigionare d’acqua il monastero di San Benedetto.

L’acquedotto sorge sotto il castello di Arechi  ed un tempo, prima di dissennati abbattimenti, aveva una lunghezza di 650 metri. Nel corso dei secoli i racconti leggendari hanno contribuito a far serpeggiare tra la popolazione locale credenze e superstizioni, che hanno favorito anche certi rituali, come non passare sotto gli archi dei diavoli al calar della sera per scongiurare forze malefiche. Oggi, invece, nessuno più evita di passare sotto i ponti, anche se in tempo di pandemia, con l’aumento dell’incertezza sul piano sanitario, sociale, politico ed economico, un po’ tutti hanno ripreso a credere nella scalogna e il “non è vero ma ci credo”, senza nemmeno rendersene conto, è diventato un comportamento superstizioso in crescita. Il coronavirus, come le epidemie del passato, fa emergere in tutti noi la paura, a volta alimentata da ignoranza, negazionismo o semplicemente pura fantasia; così  per spiegare la malattia, spesso, si ricorre all’ipotesi della  punizione o castigo divino o  alle più disparate credenze popolari. E se c’è chi ricorre a ciondoli anticovid, suscitando ilarità ed indignazione, come l’ex presidente di InnovaPuglia, l’immagine del Papa, che a marzo in Piazza San Pietro deserta e sotto la pioggia ha rivolto la benedizione Urbi et Orbi con l’indulgenza plenaria, al suono di campane e sirene, rimarrà per sempre un’icona epocale di speranza contrapposta al volto oscuro della pandemia che ha svuotato le città e cambiato le nostre vite.

 MARIA GRAZIA PETRIZZO

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