Sud Italia e Vallo di Diano. L’allarme della Dia: “Il lockdown un affare d’oro per le mafie”

La sofferenza del tessuto economico, aggravato dalle chiusure per la pandemia di Sars-CoV-2, diventa occasione di business per le mafie che, nel primo semestre del 2020, hanno visto un’impennata degli affari. Almeno quelli che si fanno con cifre da capogiro e attraverso veloci passaggi da un conto bancario ad un altro. ‘Ndrangheta, Cosa nostra e Camorra hanno acquisito pezzi o rilevato in toto aziende in crisi in tutta Italia mentre, nel caso di relazioni con le Pubbliche amministrazioni, sono entrate a ribasso negli appalti. Così si investe, per poi generare profitto sui “cadaveri” lasciati dal lockdown nel campo dell’imprenditoria. E’ un quadro inquietante quello disegnato nella relazione semestrale (gennaio – giugno 2020) della Direzione investigativa antimafia che, rispetto al primo semestre del 2019, segnala un netto aumento di riciclaggio di denaro, il trasferimento fraudolento di valori e l’usura, vero sintomo di un’imprenditoria alla ricerca di liquidità.

Secondo la relazione DIA, per la sua posizione geografica il Vallo di Diano è direttamente collegato alle zone del potentino attraverso la Val d’Agri dove sono presenti importanti giacimenti petroliferi con il connesso indotto estrattivo, nonché vicino alla parte settentrionale della Calabria, dove operano organizzazioni malavitose influenti anche nel comprensorio valdianese. Le attività investigative condotte dalle Forze di polizia hanno consentito di individuare nel territorio due gruppi criminali, originari di Sala Consilina, dediti al traffico di stupefacenti, alle estorsioni e all’usura.

Nel Medio e Basso Cilento, invece, la forte vocazione turistica espone l’area al possibile reinvestimento di capitali illeciti. Il comprensorio risulta oggetto di attenzione da parte di pregiudicati napoletani in relazione al traffico e allo spaccio di stupefacenti soprattutto durante il periodo estivo, affiancati da piccoli gruppi criminali autoctoni dediti allo spaccio.  Dunque, con un patrimonio culturale sempre più saldo, le organizzazioni criminali si fanno impresa, si presentano con il volto pulito del manager e investono soldi sporchi nell’impresa pulita o deviano il mercato intercettando il dipendente pubblico corruttibile, fino ad annacquare il confine tra attività illecita ed economia di territorio. Da una parte i magistrati rilevano la necessità di un maggiore controllo nel privato perché, se in ambito pubblico esistono numerosi protocolli antimafia, “nel caso di rapporti tra privati, invece, avevano rimarcato i giudici, «la normativa antimafia nulla prevede»”. Dall’altra c’è il tema di colpire i tentacoli della piovra laddove faccia più danni: il capitale finanziario. Dunque prevenzione del riciclaggio, “sul quale la Dia sta investendo importanti risorse, in particolare, puntando ad approfondire in maniera sempre più efficace le segnalazioni di operazioni sospette, strumento fondamentale per disvelare i grandi patrimoni mafiosi collocati nell’economia legale”. E’ proprio la disponibilità di quei patrimoni, l’arma con cui le mafie riescono in breve tempo a trasformare un tessuto economico in cancrena in un presidio di illegalità.

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